Forse ad oggi l'entusiasmo per questo romanzo è andato a scemare, ma fino a pochi giorni fa non si parlava d'altro! Ora che ne ho terminato la lettura capisco la sua fama anche se non è riuscito a conquistarmi come mi aspettavo. Le sette morti di Evelyn Hardcastle si presenta come un giallo misto a thriller, un "Agatha Christie incontra Black Mirror". È tuttavia difficile fare paragoni perché penso sia un libro unico nel suo genere. Ci troviamo in una maestosa residenza in campagna dove i coniugi Hardcastle sono pronti ad accogliere i loro ospiti, gli stessi presenti diciannove anni fa quando il loro figlio Thomas fu assassinato. Alle undici di sera la morte torna a Blackheat House e si prende Evelyn Hardcastle.
Aiden, che si trova suo malgrado a Blackheat House, dovrà risolvere questo crimine e per farlo ogni giorno si risveglierà in un corpo diverso, uno degli invitati, e rivivrà la giornata dell'omicidio finché non sarà giunto alla conclusione. Le insidie sono però numerose e dovrà guardarsi le spalle da un misterioso lacchè che gli da la caccia.
Non il solito giallo, dunque, ma qualcosa di ben più oscuro e macchinoso. Da una parte abbiamo il crimine da risolvere e dall'altra uno strano "gioco" di cui Aiden è vittima. Non ha ricordi della sua vita e non conosce il motivo per cui si trova in questo posto, sa solo ciò che gli viene detto da un uomo con indosso una maschera da medico della peste ovvero le regole di Blackheat. Ha a disposizione 8 corpi da abitare per risolvere l'enigma ed essere libero di andarsene.
Ripercorriamo assieme al protagonista il giorno in cui Evelyn muore attraverso punti di vista differenti che si intrecciano e completano fra loro. Ogni invitato ha una caratteristica peculiare che emerge nel momento in cui Aiden lo ospita. Infatti il nostro protagonista non occupa dei corpi vuoti ma "lotta" contro l'indole di ciascun ospite per emergere e avere il pieno controllo del corpo. Questo ci porta a chiedere chi sia realmente Aiden perché spesso il suo essere si fonde con quello degli invitati, è come se fosse il risultato di piccoli pezzi presi da uno e poi da un'altro. Oltre a parlare di identità, l'autore affronta il tema della vendetta e della giustizia.
"Ogni uomo è prigioniero di una gabbia costruita da sé"
È necessaria una buona dose di concentrazione e spirito d'osservazione per non perdersi nel groviglio creato a Turton. Da una parte ho apprezzato l'ingegnosità di questo romanzo perché ti insinua il dubbio che quello che stai leggendo non sia del tutto vero oppure, quando credi di aver capito che piega han preso gli eventi, ecco là un nuovo colpo di scena. Trovo tuttavia che in certi momenti sia davvero troppo carico di informazioni e questo ha appesantito un po' la mia lettura.
Per quanto riguarda il crimine, devo dire che l'autore è stato molto abile nel ricreare un omicidio alla Agatha Christie senza apparire troppo prevedibile. Mi è piaciuto molto il libro da questo punto di vista, peccato però che non ci sia solo l'"indagine" di mezzo. Sono infatti un po' dispiaciuta per quanto riguarda la parte paranormale del romanzo, il gioco di risolvere l'enigma e tutta la questione delle "reincarnazioni". Turton ci getta piccole briciole qua e là nel libro ma alla fine non da tutte le risposte. Se il focus principale del romanzo fosse stato solo l'omicidio allora forse avrei accolto meglio questa mancanza. Penso che dopo 520 pagine ce le meritavamo queste risposte.
In generale ho apprezzato questo libro e riconosco la genialità dell'autore ma non vedo il grande capolavoro che mi aspettavo. È una lettura impegnativa che non consiglierei a tutti. In particolare non lo consiglio a chi non apprezza particolarmente il genere né a chi sta cercando una lettura leggera e poco impegnativa. È invece perfetto se risolvere crimini è il vostro hobby preferito e siete degli acuti osservatori come Miss Marple.
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